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Clessidra Lanuvio

Il Campanone di Lanuvio

Nel 1980 ebbi la ventura di pubblicare, su questa stessa rivista, un articolo dal titolo: “Le tormentate vicende del Campanile di Lanuvio”, al termine del quale riportai il testo del “rogito del campanone”, un atto notarile nel quale veniva minutamente descritta la complessa cerimonia di consacrazione della campana maggiore fatta rifondere a spese del Comune di Lanuvio. Dopo tanti anni, nel corso delle mie lunghe e faticose ricerche, mi è capitato di imbattermi nel numero 6015, in data 31 gennaio 1756, del “Diario Ordinario”, meglio conosciuto come “Diario di Roma o Cracas”, nel quale viene annunciata la consegna della campana nel modo seguente: “Avendo il fonditore Sig. Pietro Blasi, vicino al Monistero di Monache dello Spirito Santo, terminato nella sua Fonderia il lavoro di una campana di peso libre 1850, fatta per servizio dell’Ill.ma Communità di Civita Lavinia, in tuono G. sol re ut perfetto, come era stato convenuto nell’obligo fatto con la suddetta Communità, e come è stato riconosciuto da persone capaci, con il Corista, fu colà inviata fino da sabato passato, e perché è bene adorna di varj bassi rilievi, lavori alla cinese, se ne dà qui espressa la forma come si vede.”

Veramente straordinario è il fatto che al termine della notizia si trovi una immagine. A mia conoscenza si tratta (fino ad eventuale smentita) di un caso unico. Di esemplari del “Cracas” ne ho consultati a migliaia e mai mi era capitata qualche xilografia o incisione, fatta, naturalmente, eccezione per le graziose vignette dei vari frontespizi. Visti i tempi tecnici di realizzazione dell’epoca, l’assenza di immagini attuali si spiega da sola. Non resta, dunque, che trovare una spiegazione per la presenza di una illustrazione. La prima cosa che viene in mente, è che la xilografia fosse stata realizzata per qualche altra occasione, come, ad esempio, un foglio volante pubblicitario del fonditore oppure un fascicolo celebrativo a stampa fatto pubblicare dal Comune. C’è anche da considerare il fatto che fonderia e tipografia non si trovavano molto distanti, entrambi alle falde del Campidoglio, e magari tra artigiani si conoscevano pure.

Corrado Lampe

Tratto da: Castelli Romani n° 2 – 2011

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