Dalla fine del secolo scorso, fino alla vigilia dell’ultima guerra, a Marino ed in altre zone dei Castelli Romani venivano gruppi di «ciucitti» dalla provincia di Frosinone, per essere adibiti ai lavori stagionali di vangatura. Essi dovevano essere di corporatura robusta, altrimenti i «patroni» li scartavano adducendo motivi di scarso rendimento; avevano una paga oraria ridotta e poca considerazione. Alloggiavano per lo più in casolari di campagna ed in ambienti tutt’altro che confortevoli. Di pasti, c’era soltanto quello “serale” ed era costituito o da polenta o da minestra “co’ l’ondo” oppure da pasta asciutta con contorni di verdure. Per dormire usavano i “pagliericci” adagiati per terra. Altri, meno fortunati, che non riuscivano a trovare lavoro fisso per tutta la stagione facevano “piazza” aspettando pazientemente che qualche “vignarolo” abbisognasse della loro opera per alcuni giorni. La sera sul tardi questi offrivano un triste spettacolo agli occhi di tutti, dormendo ammucchiati come stracci agli angoli delle piazze. Io da ragazzo li ricordo girare per Marino nei giorni di festa vestiti con camicioni colorati aperti sul davanti, in testa cappelli scuri, quasi sempre logori, pantaloni di panno ruvido sino alle ginocchia, ed ai piedi pezze di tela fino ai polpacci e le caratteristiche “cioce” tenute ferme da stringhe di cuoio attorcigliate. Fin verso gli anni venti, per “giornata” in campagna si intendeva lavoro dall’alba al tramonto con due pause di un’ora alle 10 e alle 14 per le “colazioni”, che, nella gran parte dei casi, erano costituite da pane, “cacio”, rughetta, od altri magri companatici. Se il proprietario del vigneto era generoso passava loro un po’ di vino. Uno di questi, invece, doveva essere un gran furbone per ottenere il massimo rendimento dalla loro ingenuità, ma più che altro dal loro stato di bisogno. In che modo? Ordinate, alcune cassette di aringhe affumicate, egli chiamò i suoi “ciucitti” l’uno all’insaputa dell’altro, facendo ad ognuno questo discorsetto: “’Sta cassetta de renghe è pe’ ti, vedo che si’ un più bravu, però quandu sta’ a lavora’ e io te passo vicinu e me sendi di’: via co’ ‘a renga! tu chie’ da da’ più sveltu co’a vanga, me riccomanno ‘nnisconnele e nu di’ gnente a gnisunu dei compagni tii”. Il buon ciociaro di fronte a tanta benevolenza ringraziava ed annuiva, soddisfatto di essere il preferito. Per tutta la durata dei lavori “u patrone” passava di frequente tra i filari del vigneto: “via co’ a renga!” era la sola frase che pronunciava ed ogni vangatore, nonostante la stanchezza che via via andava accumulando, aumentava il ritmo fino allo spasimo, credendosi il solo beneficato, del tutto ignaro, data la promessa fatta di non parlare, della beffa perperata ai danni di tutti dallo scaltro proprietario.
Vocabolarietto ciucitti = ciociari / passava = regalava / co’ l’ondo = con lardo / sendi = senti / renghe = aringhe / chié = devi / ‘nniscònnele = nascondile / gnente = niente.
Ilario Onorati
Castelli romani 1984 – n. 2